La vita
Titta Ruffo nasce a Pisa il 9 giugno 1877, nella popolare via Carraia (oggi via Volturno), da una famiglia di artigiani del ferro. A diciotto anni scopre di possedere non comuni attitudini canore e si trasferisce a Roma dove il fratello Ettore studia musica e il flauto. È ammesso al Conservatorio di Santa Cecilia, nella classe di canto di Venceslao Persichini, tra i più insigni maestri dell'Italia umbertina, ma crescenti incomprensioni e contrasti con docenti fanno sì che egli, dopo sette mesi, abbandoni il Conservatorio.
Nell'autunno del 1897 va a Milano dove il concittadino baritono Lelio Casini lo accoglie affettuosamente e gli impartisce proficue lezioni. Dopo il debutto, a soli ventun'anni, nel ruolo dell'Araldo in Lohengrin al Teatro Costanzi di Roma, assurge presto a protagonista nei massimi teatri lirici del mondo: in Italia e in Europa, in Egitto, in Russia e nelle Americhe, da New York a Buenos Aires. Poco più che trentenne, nel primo decennio del secolo egli gode già di solida fama internazionale.È il baritono per antonomasia: interprete dalla personalità marcata e dal linguaggio incisivo, ha una voce inconfondibile per smalto e colore, scura e bronzea in tutta la gamma, e in più dall'estensione capace di abbracciare ben diciassette note compreso il do tenorile. A Pisa debutta nell'agosto del 1898 al Teatro Politeama nei panni del Conte di Luna nel Trovatore di Verdi e in quelli di Lord Ashton nella Lucia di Lammermoor di Donizetti. Ritorna a Pisa nel 1901, al Teatro Nuovo (poi Verdi) come Jago in Otello e Don Carlo in Ernani, e infine nel 1925 per due recite straordinarie di beneficenza con l'Amleto di Thomas riportando un grandissimo successo. Con quest'opera saluta i suoi concittadini e tale evento viene immortalato su una lapide posta nell'atrio del Teatro.
Colpito dall'assassinio del cognato Giacomo Matteotti, più volte boicottato dal regime fascista, segnalato all'estero come sovversivo, Titta Ruffo decide di lasciare l'Italia per non cantarvi mai più. Si esibisce ancora all'estero, fino alla sua ultima opera, Tosca, a Buenos Aires nel 1931, e al concerto d'addio del 1935 a Nizza. Nell'ottobre del 1937, a Roma, dov'è tornato per una visita ai familiari, viene arrestato e privato del passaporto. Scarcerato dopo tre giorni sulla scia dell'indignazione scatenata dalla stampa straniera, è però costretto a non lasciare il paese. Si stabilisce prima a Bordighera, poi a Firenze, dove dimora fino alla fine.
Ha lasciato un libro di memorie autobiografiche, La mia parabola, pubblicato nel 1937. Il figlio, nel centenario della nascita, per rendere omaggio al padre, ne curò la riedizione (Staderini Editore).
A Pisa le celebrazioni tributate alla sua memoria sono state innumerevoli: ultime in ordine di tempo la nuova esposizione, al Teatro Verdi, dopo un accurato lavoro di ricatalogazione e restauro avviato negli anni '90, della preziosa collezione dei costumi donata dal figlio; le celebrazioni nel 2003 per il cinquantenario della morte; e il 27 gennaio 2006 l'intitolazione della Sala dei Concerti del Teatro Verdi al suo nome.
Il fondo
I materiali costituenti il Fondo Titta Ruffo sono stati donati dagli eredi del famoso baritono al Comune di Pisa e poi studiati e catalogati a cura del Teatro di Pisa.
Il fondo è principalmente costituito da 43 costumi appartenuti al cantante pisano completamente restaurati dal teatro in occasione della catalogazione e riferiti a molteplici titoli operistici. A questi si aggiungono accessori vari per costumi (24 pezzi), armi bianche di scena (9 p.), gioielli (26 p.), parrucche (18 p.), caricature (8 p.), fotografie di Titta Ruffo e altri cantanti (35 p.), spartiti (59 p.), libri (4 p.) e altri materiali.
Grazie all'intervento dell'allora Ente Cassa di Risparmio di Pisa (oggi Fondazione) il 9 giugno 1999 è stato inaugurato il nuovo spazio espositivo della collezione, situato nell'ampio corridoio della 2^ galleria. Nello stesso spazio, oltre che nel ballatoio, è in mostra permanente una selezione di accessori, gioielli di scena, spartiti, libri. Attualmente sono in esposizione 16 costumi. Anche per tutelarne la conservazione, è prevista un'alternanza pluriennale dei costumi esposti.